Friday 31 October 2014

Quiche di melanzane e formaggio fresco

È andata così con questa ricetta: avevo una confezione di pasta brisé in frigo, e due melanzane. Volevo farci qualcosa, ma non mi ispirava particolarmente l'idea di una quiche alle melanzane. Finché ho trovato questa ricetta:
Quiche di melanzane > ricette della nonna
Così, mi sono detta: allora si può!
Questa è la mia variazione sul tema, vegetariana naturalmente. La pubblico perché è davvero semplice e rapida, però buonissima:

Quiche melanzane e formaggio fresco
Ultima fetta rimasta... Gnam!

ingredienti

una confezione di pasta brisé (naturalmente si può anche fare... Ma io qui non posso aiutarvi!)
2 melanzane abbastanza grosse
una cipolla media
250gr di formaggio fresco (io ho usato il Quartirolo Lombardo, ma è perché l'avevo comprato al Lidl durante la promo italiana e lo volevo finire)
origano

procedimento

Premessa: sono abbastanza fissata con le melanzane, credo che abbiano bisogno di essere tagliate a fette e lasciate riposare una mezz'ora cosparse di sale, se no sarebbero amare; perciò lo faccio sempre. Il procedimento inizia dando per scontato che le melanzane siano già "riposate".
Tagliare la cipolla, e soffriggerla in abbondante olio extra vergine. Intanto, sciacquare le melanzane e tagliarle a dadini. Quando la cipolla è imbiondita, aggiungere i dadini di melanzane e abbondante origano. Salare, pepare, speziare a piacere, e lasciare cucinare finché le melanzane si ammorbidiscono (ammorbidiscono; non spappolano!).
Intanto, tagliare il formaggio a dadini. Quando le melanzane sono cotte, togliere dal fuoco, accendere il forno al massimo (non posso dare la temperatura esatta perché io ce l'ho a gas!), e stendere la pasta su una teglia diametro 28 (grande). Sbucherellarla con una forchetta, versarci sopra le melanzane, cospargerla di formaggio, e ricoprirla con un foglio d'alluminio. Infornare per 30 minuti in tutto: 10 a forno alto, 10 abbassando un po' la temperatura, e gli ultimi 10 togliendo l'alluminio.

Wednesday 29 October 2014

E l'eco rispose - K. Hosseini

[Original Title: And The Mountains Echoed]
Premessa necessaria: non so se riuscirò a essere obiettiva su questo libro. Mi ha emozionata parecchio, e quando un libro mi emoziona, perdo un po' in lucidità.

"Se ho imparato qualcosa a Kabul, è che il comportamento umano è incoerente, imprevedibile e non si preoccupa di comode simmetrie. Ma trovo conforto nell'idea che ci sia una trama, che il racconto della mia vita abbia preso forma, come una fotografia nella camera oscura, una forma che lentamente emerge e ribadisce il bene che ho sempre voluto vedere in me stesso. Questa storia mi dà forza." K. Hosseini

Mi ha emozionata così tanto che ho letto le sue 455 pagine in 9 giorni e ho pianto ben 2 volte.
L'argomento, l'Afghanistan attraverso gli ultimi 70 anni, è attraversato con sensibilità e utilizzando diversi punti di vista.
La scrittura l'ho trovata agile, anche se particolare: i vari capitoli sono narrati sempre al presente e in prima persona da un personaggio protagonista, che varia. Può sembrare confuso, soprattutto per il lettore molto tradizionale, abituato alla terza persona e al narratore onnisciente; ma a me, che sono amante della scrittura veloce e della prima persona, è in realtà risultato molto piacevole e chiaro.
Grazie a questo stratagemma stilistico, infatti, anche il lettore più ignorante riesce ad immergersi in un Paese molto complicato, perché sono i personaggi, con le loro storie ed emozioni, che lo portano per mano.
Davvero complimenti all'autore. Decisamente, lo consiglio.

Monday 27 October 2014

Buon compleanno

Agata si alzò dalla sedia sbuffando; dopo un paio di secondi di stallo, tornò a sedersi. Suo papà le aveva chiesto esplicitamente di rimanere ad aiutare la sorella. Però, era difficilissimo non perdere le staffe con lei, soprattutto quando si trattava di numeri.
- Certo che tu e la matematica proprio non andate d'accordo! O mi prendi in giro?
- Dai, smettila. Stai sempre criticando qui e lì. Se mi devi aiutare e farmi sentire una cacca, meglio che non mi aiuti, sai?
Agata la fulminò con gli occhi. Era una tattica di Liz fare la vittima per farla arrabbiare di più, la conosceva bene. Da diciassette anni sopportava la sorella minore, e da sempre continuava a cascarci.
- Lo sai benissimo che non mi sento in colpa. E poi, ti devo aiutare, me l'ha chiesto papà. Altrimenti pensi che starei qui con te a innervosirmi il giorno del mio diciottesimo compleanno? Con la festa da preparare? Ti sembra che non abbia altre cose da fare?
Avrebbe voluto continuare con la predica, ma si accorse che Liz la fissava. Non con il suo sguardo tipico che diceva "sono sul punto di piangere ed è colpa tua", e che normalmente faceva parte della sua strategia di vittima. La fissava, ma con uno sguardo vacuo, quasi dispiaciuto.
Sembrava sinceramente triste. Agata avrebbe voluto chiederle perché con dolcezza, come farebbe con qualsiasi altra persona, ma aveva già sopportato troppo. Ogni gentilezza era esclusa da tempo, era più forte di lei.
L'apostrofò bruscamente.
- Beh, e che cavolo hai adesso? Ti sei resa conto che il tuo piccolo cervellino non ci arriva?
Terminata la frase, si morse la lingua. Perché non riusciva mai a parlarle normalmente? Adesso, sicuramente si sarebbe messa a piangere.
Invece no. Liz le rispose con calma.
- Hai ragione, hai ragione tu. Non mi piace la matematica, e il giorno del tuo compleanno non dovresti passarlo cercando di insegnarmela. Vai pure a preparare la festa; lo spiego io al papà, che sono stata io.
Agata rimase a bocca aperta. Mai la sorella le aveva detto una cosa del genere.
- Ma...
- No, veramente, Agata. Insisto. Solamente, prima prendi questo, - concluse Liz mentre faceva un sorriso tirato, - e buon compleanno da parte della tua sorellina rompipalle.
Le passò un fagottino, e Agata si affrettò ad aprire il regalo, fingendosi molto concentrata per non mostrare la sua faccia confusa.
Era un magnete, molto semplice, con scritto "Grazie sorella. Ti voglio bene."
Se lo rigirò tra le mani, non potendo crederci. Liz si era sempre approfittata di lei, avevano sempre litigato tra loro, e non aveva mai mostrato simili slanci di amore fraterno.
Non le aveva mai fatto un regalo, nemmeno uno stupido. Non le aveva mai detto che le voleva bene. Neanche una volta. Era davvero attonita.
Doveva dirle qualcosa. Ma cosa?
Non voleva che le uscisse una frase secca, come quella che le era venuta fuori poco prima. Voleva, con tutte le sue forze, ricambiare la gentilezza. Il regalo le aveva fatto piacere.
Alzò la testa e guardò Liz con un'espressione tonta.
In quel momento si rese conto che c'era un'unica cosa giusta da fare, anche se forse avrebbe un po' rovinato il suo ruolo di sorella maggiore perennemente scocciata.
Doveva dirle che anche lei, nonostante tutto, le voleva bene.
Mentre lo faceva, vide un grande sorriso aprirsi sul viso della sorella. Capì che, in fondo, bastava poco per farla contenta. E per essere contenta lei stessa.
Capì anche che il regalo che le aveva fatto era molto più di un magnete.
- Buon compleanno, - le ripeté Liz mentre l'abbracciava.
Sì, è un buon compleanno, pensò Agata, sorridendo.

*Dedicato a Eli... Non posso festeggiare con te,
ma spero almeno di averti strappato un sorriso!
Happy Birthday!

Vaya tecnología...


Jean chiude il portatile. Imposta la sveglia dell'iPhone alle sette; le rimangono solo sei ore da dormire, realizza sconsolata.
L'indomani mattina dev'essere alle otto e mezza all'aeroporto, sono circa due mesi che ogni fine settimana fa l'hostess. E sono circa due mesi che il sabato e la domenica si alza presto.
Appoggia la testa sul cuscino e pensa che sarebbe almeno potuta uscire con la sua amica Clara, quel sabato sera. Dopotutto, deve alzarsi alle sette, non è così presto. Vabbè, ormai... Amen.
Ripassa mentalmente l'abbigliamento per il giorno dopo. È tutto pronto, ma ha la sensazione che qualcosa le stia sfuggendo. Fruga nei vicoletti della sua mente, non trova nulla. La sveglia l'ha messa, la borsa è pronta. Ben presto, sta dormendo profondamente.
L'iPhone suona alle sette, puntuale.
Jean si alza subito. Mangia i suoi soliti cereali a grandi cucchiaiate, non vuole perdere tempo.
Guarda velocemente le notizie sul telefono; una, in particolare, attira la sua attenzione.
"Dannazione!", esclama, lasciando cadere la testa sul tavolo. Com'era tonta certe volte. Come ha fatto a scordarselo? Era l'ultima domenica d'ottobre. Si tornava all'ora solare.
Un momento: quindi è in ritardo di un'ora?
Decide di fermarsi a pensare, prima di mettersi a correre avanti e indietro per la casa cercando di rimediare a un ritardo esagerato.
Legge il titolo un'altra volta: Ritorna l'ora solare. Si dorme un'ora in più.
Ok, calma. Se si dorme un'ora in più, vuol dire che l'orologio si manda indietro.
Tira un sospiro di sollievo. Meno male che era all'indietro.
E subito tira anche un pugno al tavolo, dato che realizza che avrebbe potuto dormire un'ora in più, e sarebbe potuta uscire tranquillamente con Clara.
Ecco che cosa le stava sfuggendo la sera prima. Il cambio dell'ora.
Uff. Si lascia cadere di nuovo sul tavolo. Ormai non vale la pena di tornare a letto. Almeno se la può prendere comoda.
O forse no? Ora l'assalgono i dubbi. Che il suo telefono super intelligente abbia cambiato l'orologio automaticamente?
Saranno le sette e mezza, le sei e mezza, o le otto e mezza?
Il pensiero di non sapere affatto che ora sia non è per niente confortante. Soprattutto se alle otto e mezza ti aspettano a lavoro, e tu non hai idea di quanto manchi all'ora X.
Jean alza la testa, fissando tutto e nulla, facendo lavorare i suoi neuroni a tutta velocità.
Che ora è?
Il suo sguardo cade sul vecchio orologio a lancette appeso sopra il frigo. L'aveva quasi buttato proprio la settimana prima.
Segna le otto e trenta.
Le otto e trenta?
Ma certo. Inizia a ridacchiare. Quando si dice la tecnologia. Sì, è cambiata l'ora, ma gli smartphone lo sapevano. E perciò, anche il suo iPhone l'aveva cambiata automaticamente, svegliandola alle sette, ora nuova, senza che lei nemmeno si ricordasse del cambio.
In realtà, però, si era svegliata alle otto, ora vecchia. Il suo vecchio orologio glielo confermava.
Mentre si prepara per uscire, sicura di essere puntuale, decide che comunque anche le lancette fanno la loro parte. Senza il suo caro, vecchio, orologio analogico, forse si sarebbe persa nei meandri del tempo.
No, dopotutto non l'avrebbe buttato.

[photo credit: Βethan via photopin cc]

Thursday 23 October 2014

Sunrise on planet Earth

I primi raggi di sole si posarono sulle due figure che russavano profondamente, schiena contro schiena.
La prima ad accorgersene fu Zin. Stava nel bel mezzo di un sogno complicato, e, dalla parte posteriore del suo cervello, sentì arrivare un piccolo disturbo, che piano piano si ingrandiva.
Quando capì di cosa si trattava, era già sveglia. Si stropicciò le palpebre rugose, e, stiracchiandosi il collo, svegliò il fratello.
"Quay! È giorno."
"Mmm... Già? A me sembra ancora buio...", ribatté lui, rifiutandosi di muoversi.
In realtà il sole stava già squarciando la notte, implacabile.

Zin, mentre il fratello continuava imperterrito a dormirle sulla schiena, osservava il processo con il consueto interesse. Le cose attorno a lei, che sino a pochi istanti prima non avrebbe potuto individuare se non al tatto, erano già completamente visibili. Il cielo, quando era scuro, sembrava infinito e mostrava molte delle stelle attraverso cui loro avevano viaggiato; ma quando la luce lo conquistava in così poco tempo, sembrava molto più limitato.
Le sembrava incredibile. I toni erano così intensi che, se fissava troppo in direzione Giorno (quella che gli umani chiamavano Est), le facevano male gli occhi.
Ma erano dei colori così belli che non poteva non guardarli.
"Dai, fratello, ora devi proprio aprirli, quei tuoi occhietti centenari. Ti stai perdendo il nostro spettacolo preferito."
Quay allungò le dita nodose e, con grande sforzo, aprì gli occhi.
"Uau... Hai ragione, Zin", ammise passando il braccio ancora intorpidito sulle spalle minute della sorella.
Rimasero in silenzio ad osservare, godendosi il calore dei primi raggi, che confortava i loro arti infreddoliti. Ormai il tetto su cui avevano dormito era quasi completamente illuminato.
Zin ruppe il silenzio.
"Sai, Quay, ogni tanto mi chiedo perché siamo venuti su questo pianeta sperduto e arretrato. Perché proprio qui?, mi domando. Se non trovo la risposta, semplicemente aspetto di poter guardare verso il nuovo Giorno. Questa Terra, mi pare che la chiamino così, è davvero splendida."
"Sono d'accordo, sorellina. Non è poi così male."

Tuesday 21 October 2014

Ana e lo specchio

Seneca. Piacere a te stesso.

6:45. La sveglia suona. Ana interrompe il suo sogno, e salta giù dal letto.
Non è di quelle persone che mettono la sveglia presto, e poi restano a letto venti minuti in più, continuando a posticiparla. No, lei mette la sveglia quando si vuole svegliare; e d'altra parte, non capisce affatto come si possa programmarla a una certa ora, se non ci si vuole svegliare a quell'ora.
Oggi, poi, ha deciso di alzarsi un po' prima del solito: avrà una riunione importante, vuole prepararsi con tranquillità. Dovrà partire da casa alle otto.
Comunque, non devo perdere tempo come al solito, e poi uscire di fretta.
Le è già capitato tante volte: avere molto tempo a disposizione la porta a perderne moltissimo, e si ritrova a doversi truccare durante il tragitto verso l'ufficio, e a prendere un caffè veloce prima di entrare. Oggi, invece, vuole far tutto con calma e riuscire pure a far colazione prima di uscire. La riunione è alle nove e dev'essere impeccabile.
Davanti allo specchio, spazzola lentamente i capelli, ondulati e lunghi fino ai fianchi.
Merda, quest'ultimo taglio che mi hanno fatto è davvero orribile.
Lotta un po' con la frangia. I capelli sono sempre stati il suo cruccio, ci ha bisticciato fin da piccola. Rimanda la lotta a più tardi. Avrà più senso acconciarli una volta vestita.
Sono le 7:00. Di tempo, ne ha ancora tanto.
Mmm... Camicia bianca? O maglia blu? Forse maglia blu; con la bianca, se poi mi emoziono e sudo si vedrà la pezza.
Le prova entrambe. La camicia bianca le sta decisamente meglio, e lo sa. Ma l'ultima volta che le è capitato un cliente che faceva domande inquisitorie, a causa dei sudori freddi che le erano venuti non aveva più potuto alzare le braccia per un po'. Si mette la blu.
Bah, con questa maglia sembro una vecchia. 
Non è convinta, ha sempre avuto problemi con le maglie stile classico. La fanno sentire vecchia, e ancora di più quando se le infila dentro i pantaloni: pensa che risaltino le sue gambe esageratamente lunghe e il suo busto troppo corto. La blusa, in realtà, le sta bene ed è elegante. Un suo collega gliel'aveva pure detto, una volta, ricevendo in cambio insulti: Ana aveva pensato che la stesse prendendo in giro.
Guarda lo specchio senza troppa convinzione, ma poi l'orologio la convince a proseguire. 7:15.
Pantaloni neri... Quelli mi fanno il sedere a push-up. Gonna beige... No, non mi sono depilata bene. Pantaloni grigi alla caviglia... Proviamo.
Si guarda allo specchio senza troppa convinzione. Non è convinta di come appare il suo sedere con i pantaloni grigi, e con la maggior parte dei pantaloni disponibili sul mercato, del resto.
Fruga nell'armadio, ma non trova nessuna alternativa fattibile. Prova la gonna.
Decisamente meglio. Per i peli, posso passarmi la lametta. Sì.
Passa al bagno, e si rasa velocemente. 7:35.
Devo sbrigarmi, e la colazione ormai me la posso sognare. Mi farò un caffè veloce.
Ritorna ai capelli, li raccoglie come meglio può, e si guarda allo specchio. L'immagine che le viene restituita non la convince. Non la convince per niente. Le inizia a venire l'ansia. Manca poco alle otto, non ha più molto tempo per cambiare idea.
Il trucco! Mi devo truccare.
Si trucca in fretta. L'orologio avanza: 7:45.
Mamma mia, che disastro. Potrei essere cento volte più carina oggi.
Si guarda di profilo. Non ha mai pensato di essere orribile, ma non si è mai nemmeno piaciuta fino in fondo. Soprattutto quando si prepara davanti allo specchio, le vengono mille complessi e si innervosisce.
Di certo, oggi, l'immagine di sé che vede riflessa non la convince.
Ripassa i capelli, rifà la coda di cavallo. 7:55.
Ormai il caffè me lo sogno.
Continua a girarsi e rigirarsi davanti allo specchio, pensando a cosa potrebbe ancora cambiare, ma il bip dell'orologio la fa desistere. Sono le 8:00, ha solo tempo per un'ultima occhiata generale.
Se lo specchio potesse parlare, le direbbe senza dubbio che sta benissimo, e che anzi, è anche troppo carina per l'occasione. Le direbbe poi che, come al solito, è troppo esigente con se stessa, e che gli altri non le fanno tanto caso come lei pensa: i due capelli che non vogliono essere bloccati dalla forcina, la piega della maglia, persino il suo sedere, non cambieranno la giornata a nessuno.
Quello che cambierà la loro giornata sarà il suo modo di fare, la sua gentilezza, la sua simpatia, la sua competenza.
Vorrebbe dirglielo, lo specchio, il testimone di tante prove, tanti cambi, tante riflessioni, tante critiche. Vorrebbe dirle che dovrebbe essere più sicura di sé. Che quel giorno, avrebbe potuto tranquillamente fare colazione, perché, se fosse stata meno severa con se stessa, si sarebbe preparata in modo impeccabile in metà tempo.
Ma lo specchio non le può parlare, e Ana in ogni caso sta già uscendo.
Uff... Almeno sono uscita in orario, dai.
Mentre cammina a passo spedito, sbircia verso la sua immagine che vede riflessa sulle vetrine e sui finestrini delle macchine. La Ana che le si presenta ora le sembra un po' meglio di quella che la perseguitava in casa.
Man mano che si avvicina all'ufficio, si accorge che lei è, tutto sommato, una delle persone più eleganti che ha osservato. E che, in fin dei conti, nessuno ci fa troppo caso.
Nemmeno la receptionist alza la testa quando Ana entra nell'edificio.
Dà un'occhiata alla sua immagine riflessa sulla specchio dell'ascensore.
Beh, considerato quanto ho penato, poteva andarmi peggio. Forse non sono poi così male.
Sorride a se stessa con aria quasi soddisfatta.
Se il suo specchio di casa fosse presente, le farebbe notare che lui gliel'aveva detto. Che era palese che non ci fosse nulla di cui preoccuparsi. E soprattutto, si sentirebbe sollevato sapendo che finalmente qualche altra superficie riflettente le aveva restituito un'immagine di sé che le era piaciuta.
Lo specchio aggiungerebbe, poi, che l'immagine era sempre quella: una donna alta, dalle gambe affusolate, un bel corpo proporzionato, i capelli raccolti. Quello che cambiava, era solo la sua percezione di sé.
Ma questo, forse, Ana l'ha già capito. E, specchiandosi per l'ultima volta sulle grande vetrate che separano gli open space, ha giurato che la prossima volta ci metterà molto meno a prepararsi.
Si avvia con passo sicuro verso la sala riunioni. È in anticipo.
Bene, avrà il tempo di farsi un caffè.

Friday 17 October 2014

Briscola

Avevano litigato abbastanza ferocemente, e si guardavano imbronciati.
Nessuno dei due voleva dire "mi dispiace", ma entrambi volevano sentirselo dire. Ed entrambi lo sapevano: era come se i loro pensieri fluttuassero nell'aria densa, scoperti ed inequivocabili.
Dopo qualche secondo, o forse qualche minuto, lei ruppe il silenzio.
"Risolviamolo con una briscola."
"Che?!"
Indicò con un cenno la scatola di carte che stava sul tavolo.
"Giochiamo a carte. Chi vince, ha ragione. E l'altro si dovrà scusare."
"Ma ti sembra un modo serio di risolvere le cose? È una questione importante, che ne sanno le carte..."
"Senti, non ricominciamo. Giochiamocela e basta", troncò lei, tirando fuori le carte. "E naturalmente, faccio le carte io, perché ho avuto l'idea", aggiunse nascondendo un sorriso che le era venuto spontaneo ma che non voleva dare a vedere.
"Due su tre, almeno, per non lasciarlo proprio al caso", pretese lui.
"Ok."
La prima partita la stravinse lei. Settantacinque a quarantacinque. Si vede che il destino lo sa che avevo ragione io, non poté fare a meno di pensare. Uno a zero.
Ma la seconda la dominò lui, tanto che, al contare i punti, lei si stupì di averne fatti ben quarantuno, e di averne lasciati solo settantanove a lui. Vista la sfortuna, non pensava nemmeno che sarebbe arrivata a venti. Forse il destino, dopotutto, non ha capito molto.
"Ascolta, penso che anche le carte non sappiano a chi dare ragione", esclamò lui, mettendo una mano sopra il mazzo. "Lasciamola così, facciamo pace e punto."
I suoi occhi avevano perso un po' dell'aria combattiva di pochi minuti prima.
"Sei disposto a scusarti, vuoi dire?"
"Ma che... No, ho detto facciamo pace, non ho detto che hai ragione tu. Se la metti così, allora continuiamo. Peggio per te."
La terza partita fu davvero combattuta. Ogni mossa veniva pensata e ponderata. Ma lei ebbe più sfortuna e le capitarono le carte peggiori. Ecco, avrei dovuto accettare di fermarci.
"Non so nemmeno se voglio sapere quanti punti ho fatto", sentenziò lei alla fine, abbastanza innervosita.
"Te l'avevo detto di chiuderla in parità. Ma dai, contale, magari hai vinto tu", la prese in giro lui. Era sicuro di aver trionfato.
Di mala voglia, lei iniziò a contare. Quindici... Venti... Trentuno...
Uau, non pensavo di essere arrivata a tanto.
Lui, che era sempre più veloce a contare i punti, batté un pugno sul tavolo e scoppiò a ridere.
Ma che ha? Sarà la felicità di aver vinto. Che stronzo.
"Conta, conta", le disse, continuando a ridere".
Quarantuno... Cinquantadue... Un re e un cavallo....
"Nooooo... Ho fatto cinquantanove!", miagolò lei.
Beh, comunque più di quello che speravo.
"Conta bene, accidenti!"
E lei, che non capiva ma cominciava ad essere divertita, ripassò tutte le carte.
Ma vuoi vedere che siamo finiti pari?
Eh sì, si era proprio persa un punto. L'ultima partita era finita sessanta a sessanta.
Iniziò a ridere anche lei.
"Ma lo sai quanto è bassa la probabilità di pareggiare in questo modo? Bassissima", fece notare lui, e l'abbracciò stretta stretta. "Questo vuol dire che, come avevo detto io, dobbiamo fare pace e punto. Un po' di torto e un po' di ragione a entrambi..."
Lei capì che quella, effettivamente, era l'unica soluzione possibile. Un po' per ciascuno.
Si lasciò andare nell'abbraccio, e finalmente ammise: "Eh certo, se lo dicono le carte..."

Thursday 16 October 2014

Lo Hobbit - J.R.R. Tolkien: che me n'è sembrato

Essendo il quarto libro di Tolkien che mi leggo, probabilmente sono di parte, perché, se non mi sono fermata al primo, significa che comunque l'autore un po' mi piace.
La storia, però, mi ha stupita, perché stavo per archiviarla, dato che alla quarantina di pagine ancora non mi aveva preso (e il mio limite è 50; dopo di che, chiudo e rimetto in libreria, o peggio, mi disfaccio del libro). Erano troppe le descrizioni e pochi i dialoghi, e io non sono un'amante di questo stile paragrafo lungo.
Ma poi c'è stato un cambio, e ho iniziato a prendere velocità. Chiaro segnale di gradimento.
Mi è piaciuta, su tutto, la costruzione del personaggio di Bilbo Baggins e la profondità con cui l'autore descrive il suo carattere attraverso le azioni e i pensieri. Ne "Il Signore degli Anelli" non mi erano mai stati simpatici gli Hobbit, ma ora che conosco Bilbo, sì.

My favourite "The Hobbit" quote. Tolkien.
Lo stesso posso dire  per la semplicità con cui dipinge un mondo fantastico, in cui il lettore ingenuo come me praticamente si perde. L'ho trovata semplicemente geniale. E alla fine pure lo stile, che all'inizio non mi convinceva per la sua complessità, mi ha meravigliato. C'erano delle parole che non conoscevo, e mi è piaciuto impararle - bravo anche il traduttore, diamo a Cesare quel che è di Cesare, anzi in questo caso non è Cesare ma è è una donna e si chiama Elena Jeronimidis Conte.
Certo, la storia è abbastanza unitaria e veloce, e non ho davvero idea di come abbiano fatto a farci una trilogia. Misteri cinematografici.
Succo del discorso: consigliato, sì.

***Disclaimer: questa recensione, come tutte le altre, manifesta solo l'umile e personale opinione di una lettrice incallita.

Tuesday 14 October 2014

Hamburger di azuki

Hamburger di azuki. Vegan.
Sembra carne ma non è...
Ecco, ieri mi sono cimentata per la prima volta con gli hamburger vegetali (per ora, li avevo solo mangiati).
Ho preso un ricettario e l'ho cambiato un po' a seconda dei miei bisogni, come faccio sempre.
E modestamente, mi sono venuti degli hamburger SPETTACOLARI!
Condivido la ricetta per soddisfare le altrui voglie vegetariane, e naturalmente per ricordarmi come li ho fatti ;)

ingredienti:

  • una scodella di fagioli azuki (sono quelli rossi-violetti) secchi, lasciati in ammollo per 5-6 ore e bolliti per un'oretta
  • una cipolla e uno spicchio d'aglio tritati
  • 3 champignon tritati
  • prezzemolo fresco tritato
  • spezie varie: sale, pepe, peperoncino, coriandolo, cumino, curry... chi più ne ha più ne metta
  • araquanto olio d'oliva

procedimento:

Soffriggere cipolla e aglio con l'olio finché non diventano dorati, e aggiungere funghi, sale e spezie.
Cucinare finché i funghi non hanno perso il loro sugo (5-10 min approx.).
Intanto, tritare gli azuki con un po' d'olio e un pochino (poco!) della loro acqua di cottura. Io ho usato il tritatutto però penso si possa fare anche con una forchetta.
Quando i funghi son pronti, versare il tutto in una ciotola e compattare.
Dividere il composto in 4, spolverarci sopra un po' di farina, ad ogni parte dare la forma di un hamburger, e mettere su una teglia oliata in precedenza. Passarli nell'olio da entrambe le parti.
A questo punto sono pronti per essere cucinati. Io li ho infornati e cucinati con il grill, girandoli dopo 5 minuti... Mi è sembrato meglio che farli in padella, dove probabilmente si spappolerebbero.
Et voilà! L'ho mangiato ieri nel panino con abbondante ketchup, e oggi con insalata di contorno.
Awesome!

Saturday 11 October 2014

Cosa scopre uno a trent'anni?

A trent'anni, uno si deve svegliare contento. Se è uno come me, poi, si sveglia super contento.
Come ogni compleanno, mi sembra un po' il giorno di Natale. Mi piace festeggiare e mi piacciono i regali, quindi niente di meglio che un giorno in cui i festeggiamenti si concentrano su di me, i regali sono in generale per me e tutti mi fanno gli auguri.
Persino i programmatori di Google mi hanno dedicato un doodle:
Siete proprio dei freak! Però grazie...
Insomma, anche se forse hanno esagerato con l'invasione della privacy, li devo pure ringraziare perché mi è anche piaciuto.
A parte questa ondata di egocentrismo...
... Uno a trent'anni scopre cose nuove.
Per esempio, il segreto di una crema per il tiramisù super densa. Non te lo insegna la nonna, non te lo insegna la mamma, nel 2014 lo scopri in Internet, precisamente qui.
Happiness!


Friday 10 October 2014

Post #1


Post #1. 
Non so se è una coincidenza che sia proprio il giorno prima di compiere trent'anni... 30.
Meglio non mentire. Lo so che non è un caso.
Happiness, travel, destination. Goodman quote.
Not a destination. Let's see what happens.
Ricordo di aver letto due settimane fa un bell'oroscopo di Rob Brezsny. Diceva questo:
"Sei piena dell’energia che pulsa all’interno di un seme quando è pronto a germogliare. Ti sei preso il tempo necessario, hai raccolto il nutrimento che ti serviva, hai aspettato le condizioni giuste. E quel momento estatico e pieno di speranza sta per arrivare. Forza!"
(quotato dall'oroscopo di Internazionale)

Ti ringrazio per l'augurio, Rob. Mi sento proprio così dopo questi mesi di respiro.
E almeno una cosa la sto riuscendo a fare: (ri)aprire un blog. 
Non lo faccio perché qualcuno mi legga, anche se lo spero.
Sono egoista e lo faccio per me stessa, perché voglio scrivere.  

Caro trentesimo compleanno, puoi arrivare, sono qui che ti accolgo a braccia aperte!